Apertura di un pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande
L’apertura di un pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande è possibile in virtù della semplice presentazione al Comune della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), completa della prescritta documentazione scritto-grafica.
Data:
2 Marzo 2012
L’apertura di un pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande è possibile in virtù della semplice presentazione al Comune della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), completa della prescritta documentazione scritto-grafica.-
Non è più necessaria l’autorizzaizone comunale, in virtù del combianto disposto di cui all’art.64 c.3 D.Lgs 59/10 ed all’art.19 L.241/90 modificata dalla L.122/10, se non nei casi in cui il Comune abbia contingentato l’apertura di bar o ristoranti in una determinata zona esclusivamente per motivi di tutela del patrimonio storico-artistico, di vivibilità ambientale, ecc. Il verdetto arriva, inequivocabile, dalla terza sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania– sede di Napoli che, proprio in questi giorni in cui si discute della conversione in leggi sia del decreto legge n.1 del 24 gennaio, in tema di liberalizzazione, sia del decrto legge n.5 del 9 febbraio, in tema di semplificazione, sancisce l’inutilità e l’illeggitimità dell’autorizzazione comunale per l’apertura di un pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande, così come definito dalla legge n.287/91, pesantemente modificata dal D.Lgs.59/10 e dalla L.122/10.
Pertanto, la SCIA, se corredata di Dia sanitaria attestante il possesso dei requisiti igienico-sanitari dei locali e di elaborato scritto-grafico attestante la presenza di requisiti di sorvegliabilità dei locali, abilita colui che l’ha presentata, se in possesso dei requisiti morali e professionali previsti dall’art.71 del D. Lgs. 59/10, all’avvio immediato dell’attività, fatta salva la verifica da parte degli organi comunali da effettuarsi entro il termine di sessanta giorni.
L’autorizzazione così come prevista dalla L.287/91 non occorre più, atteso che la discrezionalità del Comune non ha più ragion di esistere in materia.
Tutto questo, a meno che il pubblico esercizio ricada in una zona che, nella pianificazione comunale ex art.64 c.3 del D. D.Lgs.59/10 , preveda un numerus clausus per l’apertura di bar o ristoranti, laddove tale limitazione non sia fondata su quote di mercato, così come già vietato dalla L.248/06, ma su diverse finalità.
Fra queste, segnaliamo le “ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi dì controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale”.
La sentenza del Tar partenopeo segue un percorso lineare, pienamente aderente alla novella legislativa portata dalla L. n.122/10 che ha ridisegnato l’art.19 della legge 241/90 e soprattutto ai principi comunitari che, in ambito economico, incentivano la tutela della concorrenza e l’affermazione della capacità produttiva imprenditoriale, restringendo la discrezionalità della Pubblica Amministrazione a motivi di tutela di imperanti interessi generali, debitamente documentati e giustificati.
In altre parole, se non si verifica la fattispecie delineata dall’art.64 c.3 del D.Lgs.59/10, cioè se il Comune non ha proceduto alla pianificazione che preveda limiti all’apertura di tali attività per le su esposte finalità di tutela del patrimonio storico-artistico o di vibilità ambientale, trova applicazione quanto disposto dall’art.19 della legge 241/90, secondo cui “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. …… L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente”.
Il recente pronunciamento giurisprudenziale trova peraltro la sua fonte, oltre che nell’evidente disposto normativo citato, anche in un espresso ed autorevole parere della Direzione Generale del Ministero per lo Sviluppo Economico del 21 giugno 2011 che “ritiene ammissibile l’istituto della Scia nel caso di apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti bevande situati nelle zone che il Comune non ha sottoposto alla tutela prevista dal citato art.64 c.3 del D. Lgs.59/10”.
La Scia è dunque valida e pienamente legittima.
Ultimo aggiornamento
18 Febbraio 2021, 19:52